Introduzione alla bioetica
1. H. Tristram Engelhardt Jr., una delle figure di spicco della bioetica, già alcuni anni orsono scriveva nel suo Manuale (v. bibl.) che la parola bioetica è divenuta «familiare perché i problemi morali sollevati dall'assistenza sanitaria riguardano tutti. Le questioni relative alla contraccezione, all'aborto, al consenso e all'allocazione dei fondi per l'assistenza sanitaria interessano pressoché ogni individuo, in qualche periodo della sua vita» (p. 3). Se le riflessioni morali sulla nascita, la morte e la cura come forme di responsabilità morale nei confronti del mondo vivente possiamo dire che siano sempre esistite, quello che oggi si presenta come nuovo è dovuto alle diverse condizioni in cui tali questioni si presentano: da un lato, per la loro ampiezza e rilevanza sociale; dall'altro, per l'incidenza sempre più rilevante dei progressi medico-scientifici sulla vita umana. Intendendo per etica l'orientamento globale della condotta in vista di una vita migliore (distinta pertanto dalla morale prescrittiva e particolaristica), possiamo definire la bioetica come quella branca dell'etica che si riferisce alle scelte relative agli interventi sulla vita e, in particolare - poiché tali interventi avvengono sempre più attraverso la mediazione tecnologica - a quegli interventi connessi con la pratica e lo sviluppo delle attuali tecnologie biomediche. L'etica medica rientra certamente in questo ambito e ha lontane radici; tuttavia, dal giuramento di Ippocrate alle norme deontologiche formulate dagli Ordini dei medici, essa riguarda e regola i doveri dei singoli medici o di loro gruppi nei confronti dei pazienti, ma non può in alcun modo, come vedremo, risultare sufficiente di fronte ai grandi mutamenti in corso.
Storicamente, il termine "bioetica" è un neologismo proposto da un biochimico oncologo americano, Van Rensselaer Potter, autore di un libro pubblicato nel 1971 col titolo Bioethics: Bridge to the Future.Il neologismo ha rapidamente guadagnato un largo consenso e possiamo dire che è ormai universalmente accettato, come testimoniato sia dalle numerose pubblicazioni che riportano questo temine nel titolo (a cominciare dalla Encyclopedia of Bioethics, 1978) sia dalle denominazioni di cattedre universitarie che dei vari comitati nazionali e internazionali istituiti per occuparsi dei problemi etici connessi alla vita e alla salute.
2. Conseguenza dell'introduzione delle nuove tecnologie nei vari campi della nostra condotta individuale e collettiva è stato l'enorme ampliamento di spazi di libertà, con la conseguenza che molto di ciò che in precedenza era considerato "naturale" (sia nel senso di "fatale", e a cui ci si riteneva quindi ineluttabilmente condannati, sia nel senso di "casuale", o non-dominabile, come per molte malattie) oggi, nelle mutate condizioni di vita, è entrato nel campo di nuove e più ampie possibilità di scelta e di responsabilità.
Le tecnologie attualmente in più vistosa espansione sono quelle della comunicazione e quelle della vita, ed è proprio in questi ambiti che si manifesta l'esigenza di riconoscimento e di protezione di nuovi diritti. Una forte domanda di libertà tende a investire, infatti, ogni dimensione dell'esistenza e a divenire criterio di misura della stessa qualità dello sviluppo e della vita dei cittadini. La possibilità di scegliere in ogni momento della propria esistenza per poter realizzare liberamente i propri piani di vita è sentita come valore prioritario e si esprime nella richiesta di libertà nel percorso formativo, nel tipo e nel tempo di lavoro, di scelta dell'ambiente in cui vivere, di come strutturare i propri legami sessuoaffettivi, di decidere se e quando avere un figlio, del momento di andare in pensione, dei modi di curarsi o non curarsi, di morire in autonomia e dignità e via enumerando. La possibiltà fa sorgere la domanda di accesso e questa si esprime come esigenza di vedere riconosciuto il diritto (fondato sulla fiducia della capacità dell'uomo) di cercare autonomamente e responsabilmente la propria felicità, contro i poteri che pretendono di indicare quali siano i bisogni e come debbano essere soddisfatti. In breve, possiamo infatti dire che se il Settecento ha visto l'affermarsi dei diritti civili (certezza del diritto, diritto alla vita, libertà religiosa, sicurezza), l'Ottocento dei diritti politici (partecipazione alla direzione degli affari pubblici del proprio Paese) il Novecento dei diritti sociali (i "diritti dei poveri": diritto al lavoro e alle garanzie offerte dallo Stato sociale contro disoccupazione, invalidità e vecchiaia, diritto all'istruzione, diritto a vivere in un ambiente non inquinato, diritto alla salute) il XXI secolo sembra caratterizzarsi come il tempo dei nuovi diritti (i "diritti della persona", diritti di autonomia individuale anche in senso anti-istituzionale, per ottenere più benefici e impedire il maggior numero di malefici; esigenza di rimuovere intralci burocratici, garantire i consumatori, limitare la politica dello Stato in ordine ai problemi sessuali, la questione femminile, la riproduzione, i diritti degli omosessuali, le nuove forme di convivenza, il diritto di morire quando e come si disponga, etc.).
Per quanto sia difficile stabilire un confine tra la protezione dei "vecchi" diritti e quella dei cosiddetti "nuovi" diritti, sembra potersi affermare che se i vecchi erano catterizzati da richieste positive e affermative, i nuovi sembrano esprimere l'esigenza di limitare-le ed essere protetti-dalle ingerenze che lo Stato, le comunità, i costumi e le tradizioni pongono alla fruizione degli spazi di libertà individuale. In realtà, aspetti posivi e negativi convivono e possiamo osservarli sia nella sfera della comunicazione (in cui il diritto di accesso e di libera fruizione delle informazioni - aspetto "positivo" - viene rivendicato come parte del diritto all'istruzione e alla espressione, unitamente alla esigenza - aspetto "negativo" - di protezione della privacy ) che in quello della vita e della salute (in cui il diritto a essere curati con equità, dignità, efficacia è presente unitamente alla rivendicazione della libertà di cura e della libertà di non essere curati, al diritto di disporre del corpo, di vedere tutelate l'identità e le differenze, di non essere discriminati in base a malattie o altre caratteristiche corporee o comportamentali).
In questo contesto, appare evidente l'insufficienza dei codici deontologici degli operatori della salute di fronte alla natura e alla dimensione dei problemi: primo , perché le scelte non sono più lasciate all'iniziativa e alle competenze degli operatori della salute ma coinvolgono le responsabilità dei soggetti dei quali si chiede un consenso sempre più consapevole (il cosiddetto "consenso informato") e, a un tempo, quelle delle comunità e degli Stati in decisioni che riguardano le priorità della ricerca, l'impiego delle risorse, i criteri da rispettare nella sperimentazione e nella cura (si pensi al problema dei trapianti d'organo o a quello della sperimentazione dei farmaci su soggetti umani); secondo , perché i problemi e gli interventi non si riferiscono più ai soli problemi di salute e di cura di un singolo individuo (o di un singolo organo), ma riguardano decisioni su scelte esistenziali (si pensi ai problemi dell'inizio o della fine della vita, alla libertà di cura, alle questioni relative alla natura dell'embrione e alla sua possibile manipolazione); terzo, perché gli interventi in questione hanno o possono avere conseguenze a livello dell'intera specie umana o addirittura della vita planetaria nel suo complesso (si pensi alla contraccezione o meglio alle politiche della riproduzione, che possono condizionare la presenza e l'evoluzione della specie umana, sempre più sottratte alla casualità "naturale"; alla clonazione; ai problemi connessi alla conoscenza e alle possibili modificazioni del genoma).
3. Nell'ambito della bioetica, possiamo individuare vari campi, in relazione ai soggetti interessati, alla novità o all'urgenza dei problemi, agli argomenti trattati. Potremo così distinguere: una macrobioetica (relativa a ciò che riguarda popolazioni, ambiente, relazioni fra la specie umana e gli altri viventi) e una microbioetica (ciò che riguarda il destino degli individui); una bioetica di "frontiera " (che riguarda gli sviluppi più avanzati della biomedicina) e una bioetica "au quotidien" , cioè di tutti i giorni (relativa alle scelte che si compiono nella vita ordinaria, quando le questioni di frontiera si "normalizzano" e divengono questioni di vita quotidiana, come è ad es. accaduto con la pillola contraccettiva che, dopo le incredibili difficoltà per la sua "legalizzazione", oggi vede il suo impiego come scelta personale e privata).
Quanto ai temi di cui si occupa la bioetica, come risulta anche da quanto è stato sopra detto, possiamo ricordare i problemi dell'inizio (contraccezione, procreazione assistita, clonazione, interventi sull'embrione…) e della fine della vita (eutanasia, rianimazione, accanimento terapeutico, disposizioni in previsione di incapacità o testamento biologico e direttive anticipate…);
della salute e della malattia, e del rapporto tra beneficialità e autonomia; dell'uso del corpo (donazione e trapianto di organi, interruzione della gravidanza, chirurgia plastica ed estetica, ingegneria genetica e applicazioni della genetica, mutilazioni e sterilizzazioni…); del rapporto colla natura vivente e le altre specie, relativamente alla sovrapopolazione e all'equilibrio tra le specie viventi, nonché dell'etica ambientale, per il rapporto con la natura non-vivente; di ambiti particolari (ad es., psichiatria e salute mentale); della libertà della ricerca scientifica (modalità e soggetti della sperimentazione, destinazione delle risorse…) s'intende un'etica che, fondandosi sull'analisi della condizione umana, indica a tutti gli uomini le norme di condotta necessarie per la crescita e il dispiegamento delle potenzialità, ossia il raggiungimento del ben-essere o felicità. Tali etiche, nelle loro espressioni più mature, sono universali anche dal punto di vista della destinazione dell'azione, essendo essa rappresentata non solo dall'uomo, ma da tutti gli esseri senzienti se non dalla totalità della natura. Non può non rilevarsi come questa etica umanistica si ponga in grande consonanza con l'etica buddhista che, pur essendo un'etica religiosa, ha sempre sottolineato gli aspetti di universalità, solidarietà autorealizzativa, autonomia. La promozione dell'autosviluppo, l'affermazione dell'interdipendenza, la sostituzione di un atteggiamento
4 . Parlando di etica, dobbiamo osservare che nelle culture complesse, come quella in cui viviamo, non è più possibile adoperare il termine al singolare perché ci troviamo di fronte a una pluralità di orientamenti di cui dobbiamo essere consapevoli e che ci pongono ulteriori problemi. È ben noto come la storia della cultura abbia visto tradizionalmente contrapposte le etiche religiose e l'etica o, meglio, le etiche laiche; le prime, limitate dalla loro eteronomia, essendo fondate su una rivelazione e sostenute da una qualche autorità; le seconde, caratterizzate da una forte esigenza di autonomia, ma incapaci di raggiungere una fondazione che vada al di là del relativismo di un puro "gusto del bene" o di uno scientismo di tipo positivistico-evoluzionistico ormai impresentabile. Oggi siamo poi di fronte al fatto nuovo rappresentato dal contributo che le scienze umane (dalla psicologia al diritto, all'antropologia culturale, etc.), non potendosi non interessare anche ai principî e ai valori a cui la condotta si ispira, sembrano in grado di offrire una possibilità di superamento della contrapposizione tra etica laica ed etica religiosa, proponendo quella che è stata chiamata etica umanistica . Hanno contribuito alla sua espressione la cosiddetta sinistra freudiana, la Scuola di Francoforte, Fromm, Jung, gli studi di psicologia dello sviluppo morale di Kohlberg e altri, la psicologia umanistica, i fondatori della psicologia transpersonale, etc. Le più recenti analisi dei bisogni, operate dalla psicologia umanistica e transpersonale, hanno portato al pieno riconoscimento dell'autenticità dei bisogni, detti da Fromm "specificamente umani", di senso, orientamento, dedizione, comunicazione, amore, che in precedenza soltanto le religioni mostravano di considerare. In questa nuova prospettiva, per etica universale ego-centrico con uno eco-centrico al fine di realizzare una sempre più larga unità con la Vita, pensando e agendo in modo uni-verso, potrebbero essere condizioni e via per realizzare un'etica della tolleranza, alla costruzione della quale il buddhismo sembra essere particolarmente predisposto.
Il passaggio dal piano del confronto sui principî a quello delle applicazioni, evidenzia molto spesso, nel campo della bioetica, un livello di conflittualità che richiede qualche ulteriore riflessione. Come osserva Engelhardt, «la nostra è una cultura della controversia e della disputa» e «abbiamo divergenze troppo profonde sulle modalità della nascita e della morte, su come curarsi o sulla genetica, e non potremo mai liberarci da queste dispute perché dovremmo partire da premesse comuni che non esistono. Non sto con questo affermando un relativismo etico, piuttosto uno scetticismo di fondo che mi porta ad accettare il fatto che saremo sempre in disaccordo sui grandi temi come l'aborto, la procreazione assistita, la clonazione, l'eutanasia». In che modo potrebbe allora configurarsi una bioetica adeguata a una società che si riconosca pluralista, multietnica e multiculturale?
Una bioetica "liberale" o tollerante, che non pretenda cioè di imporre una determinata visione a chi non la condivida, dovrebbe articolarsi nella definizione di due ordini di "regole", che potremmo chiamare regole di confine e regole di convivenza o di compartecipazione . Attraverso le regole di confine dovrebbe venire sancita la libertà di esprimere condotte coerenti con una determinata visione del mondo, riconoscendo a ciascun gruppo culturale o religioso il diritto di osservare principî che si sa non condivisi da altri, i quali saranno invece altrettanto garantiti nel seguire i criteri da loro scelti. L'esigenza del secondo gruppo di regole, proprio perché partiamo dal presupposto di un'articolazione pluralista della società, nasce invece dal fatto che può far parte della propria etica il sentirsi chiamati in causa quando ci si venga a trovare di fronte a forme di violenza o di costrizione esercitate su chi è in condizione di minor potere nel gruppo a cui appartiene e di cui è pur stata sancita, con le regole di confine, la libertà di azione. In tal caso, sembra auspicabile l'individuazione di possibili principî, anche minimi, sui quali raggiungere un livello unanime di condivisione da parte dei componenti l'insieme sociale plurale. Il principio della manifestazione del libero consenso e quello della delimitazione del potere dei "tutori" potrebbero essere esempi di tali principî di tolleranza condivisa .
5. Come ha detto Giovanni Paolo II, «mai come oggi, soprattutto sul piano della bioetica, […] l'umanità è interpellata da problemi formidabili, che mettono in questione il suo stesso destino» (Concistoro maggio 2001). Dunque, antichi insegnamenti che vengono da culture che mai avrebbero potuto immaginare gli attuali scenari vengono confrontati con nuove incommensurabili sfide. Il buddhsimo ha mostrato, nel corso dei secoli, una eccezionale capacità di assimilazione e inculturazione, per cui non dovrebbe avere difficoltà a rispondere a interrogativi, resi più concreti ed urgenti proprio ora che sono state avanzate (in Italia con l'intesa in corso di definizione con lo Stato) quelle richieste di riconoscimento che potranno portarlo a una presenza sempre più visibile e operante nella nostra società (dai comitati di bioetica all'assistenza religiosa agli ammalati, all'educazione religiosa nelle scuole…). La Via di mezzo (non come punto di mezzo, ma come superamento della medietà o mediocrità ordinarie), la consapevoleza e il discernimento ci saranno di guida, mentre le sollecitazioni del tempo saranno un utile stimolo ad approfondire e incorporare la rivelazione di Buddha Shakyamuni, consentendo così a Maitreya, il Buddha del tempo futuro, di dimorare ancora per un pezzo nel cielo Tushita dei "tranquillamente contenti" prima di scendere sulla Terra e portare agli uomini la sua nuova versione del Dharma eterno.
Dalla vasta letteratura sulla bioetica citiamo qui soltanto alcuni volumi di carattere generale, utili per un primo approfondimento e perché dotati di ulteriori indicazioni bibliografiche:
Sandro Spinsanti, Etica bio-medica, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1987
Hugo Tristram Hengelhardt Jr., Manuale di bioetica , tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1991
1. H. Tristram Engelhardt Jr., una delle figure di spicco della bioetica, già alcuni anni orsono scriveva nel suo Manuale (v. bibl.) che la parola bioetica è divenuta «familiare perché i problemi morali sollevati dall'assistenza sanitaria riguardano tutti. Le questioni relative alla contraccezione, all'aborto, al consenso e all'allocazione dei fondi per l'assistenza sanitaria interessano pressoché ogni individuo, in qualche periodo della sua vita» (p. 3). Se le riflessioni morali sulla nascita, la morte e la cura come forme di responsabilità morale nei confronti del mondo vivente possiamo dire che siano sempre esistite, quello che oggi si presenta come nuovo è dovuto alle diverse condizioni in cui tali questioni si presentano: da un lato, per la loro ampiezza e rilevanza sociale; dall'altro, per l'incidenza sempre più rilevante dei progressi medico-scientifici sulla vita umana. Intendendo per etica l'orientamento globale della condotta in vista di una vita migliore (distinta pertanto dalla morale prescrittiva e particolaristica), possiamo definire la bioetica come quella branca dell'etica che si riferisce alle scelte relative agli interventi sulla vita e, in particolare - poiché tali interventi avvengono sempre più attraverso la mediazione tecnologica - a quegli interventi connessi con la pratica e lo sviluppo delle attuali tecnologie biomediche. L'etica medica rientra certamente in questo ambito e ha lontane radici; tuttavia, dal giuramento di Ippocrate alle norme deontologiche formulate dagli Ordini dei medici, essa riguarda e regola i doveri dei singoli medici o di loro gruppi nei confronti dei pazienti, ma non può in alcun modo, come vedremo, risultare sufficiente di fronte ai grandi mutamenti in corso.
Storicamente, il termine "bioetica" è un neologismo proposto da un biochimico oncologo americano, Van Rensselaer Potter, autore di un libro pubblicato nel 1971 col titolo Bioethics: Bridge to the Future.Il neologismo ha rapidamente guadagnato un largo consenso e possiamo dire che è ormai universalmente accettato, come testimoniato sia dalle numerose pubblicazioni che riportano questo temine nel titolo (a cominciare dalla Encyclopedia of Bioethics, 1978) sia dalle denominazioni di cattedre universitarie che dei vari comitati nazionali e internazionali istituiti per occuparsi dei problemi etici connessi alla vita e alla salute.
2. Conseguenza dell'introduzione delle nuove tecnologie nei vari campi della nostra condotta individuale e collettiva è stato l'enorme ampliamento di spazi di libertà, con la conseguenza che molto di ciò che in precedenza era considerato "naturale" (sia nel senso di "fatale", e a cui ci si riteneva quindi ineluttabilmente condannati, sia nel senso di "casuale", o non-dominabile, come per molte malattie) oggi, nelle mutate condizioni di vita, è entrato nel campo di nuove e più ampie possibilità di scelta e di responsabilità.
Le tecnologie attualmente in più vistosa espansione sono quelle della comunicazione e quelle della vita, ed è proprio in questi ambiti che si manifesta l'esigenza di riconoscimento e di protezione di nuovi diritti. Una forte domanda di libertà tende a investire, infatti, ogni dimensione dell'esistenza e a divenire criterio di misura della stessa qualità dello sviluppo e della vita dei cittadini. La possibilità di scegliere in ogni momento della propria esistenza per poter realizzare liberamente i propri piani di vita è sentita come valore prioritario e si esprime nella richiesta di libertà nel percorso formativo, nel tipo e nel tempo di lavoro, di scelta dell'ambiente in cui vivere, di come strutturare i propri legami sessuoaffettivi, di decidere se e quando avere un figlio, del momento di andare in pensione, dei modi di curarsi o non curarsi, di morire in autonomia e dignità e via enumerando. La possibiltà fa sorgere la domanda di accesso e questa si esprime come esigenza di vedere riconosciuto il diritto (fondato sulla fiducia della capacità dell'uomo) di cercare autonomamente e responsabilmente la propria felicità, contro i poteri che pretendono di indicare quali siano i bisogni e come debbano essere soddisfatti. In breve, possiamo infatti dire che se il Settecento ha visto l'affermarsi dei diritti civili (certezza del diritto, diritto alla vita, libertà religiosa, sicurezza), l'Ottocento dei diritti politici (partecipazione alla direzione degli affari pubblici del proprio Paese) il Novecento dei diritti sociali (i "diritti dei poveri": diritto al lavoro e alle garanzie offerte dallo Stato sociale contro disoccupazione, invalidità e vecchiaia, diritto all'istruzione, diritto a vivere in un ambiente non inquinato, diritto alla salute) il XXI secolo sembra caratterizzarsi come il tempo dei nuovi diritti (i "diritti della persona", diritti di autonomia individuale anche in senso anti-istituzionale, per ottenere più benefici e impedire il maggior numero di malefici; esigenza di rimuovere intralci burocratici, garantire i consumatori, limitare la politica dello Stato in ordine ai problemi sessuali, la questione femminile, la riproduzione, i diritti degli omosessuali, le nuove forme di convivenza, il diritto di morire quando e come si disponga, etc.).
Per quanto sia difficile stabilire un confine tra la protezione dei "vecchi" diritti e quella dei cosiddetti "nuovi" diritti, sembra potersi affermare che se i vecchi erano catterizzati da richieste positive e affermative, i nuovi sembrano esprimere l'esigenza di limitare-le ed essere protetti-dalle ingerenze che lo Stato, le comunità, i costumi e le tradizioni pongono alla fruizione degli spazi di libertà individuale. In realtà, aspetti posivi e negativi convivono e possiamo osservarli sia nella sfera della comunicazione (in cui il diritto di accesso e di libera fruizione delle informazioni - aspetto "positivo" - viene rivendicato come parte del diritto all'istruzione e alla espressione, unitamente alla esigenza - aspetto "negativo" - di protezione della privacy ) che in quello della vita e della salute (in cui il diritto a essere curati con equità, dignità, efficacia è presente unitamente alla rivendicazione della libertà di cura e della libertà di non essere curati, al diritto di disporre del corpo, di vedere tutelate l'identità e le differenze, di non essere discriminati in base a malattie o altre caratteristiche corporee o comportamentali).
In questo contesto, appare evidente l'insufficienza dei codici deontologici degli operatori della salute di fronte alla natura e alla dimensione dei problemi: primo , perché le scelte non sono più lasciate all'iniziativa e alle competenze degli operatori della salute ma coinvolgono le responsabilità dei soggetti dei quali si chiede un consenso sempre più consapevole (il cosiddetto "consenso informato") e, a un tempo, quelle delle comunità e degli Stati in decisioni che riguardano le priorità della ricerca, l'impiego delle risorse, i criteri da rispettare nella sperimentazione e nella cura (si pensi al problema dei trapianti d'organo o a quello della sperimentazione dei farmaci su soggetti umani); secondo , perché i problemi e gli interventi non si riferiscono più ai soli problemi di salute e di cura di un singolo individuo (o di un singolo organo), ma riguardano decisioni su scelte esistenziali (si pensi ai problemi dell'inizio o della fine della vita, alla libertà di cura, alle questioni relative alla natura dell'embrione e alla sua possibile manipolazione); terzo, perché gli interventi in questione hanno o possono avere conseguenze a livello dell'intera specie umana o addirittura della vita planetaria nel suo complesso (si pensi alla contraccezione o meglio alle politiche della riproduzione, che possono condizionare la presenza e l'evoluzione della specie umana, sempre più sottratte alla casualità "naturale"; alla clonazione; ai problemi connessi alla conoscenza e alle possibili modificazioni del genoma).
3. Nell'ambito della bioetica, possiamo individuare vari campi, in relazione ai soggetti interessati, alla novità o all'urgenza dei problemi, agli argomenti trattati. Potremo così distinguere: una macrobioetica (relativa a ciò che riguarda popolazioni, ambiente, relazioni fra la specie umana e gli altri viventi) e una microbioetica (ciò che riguarda il destino degli individui); una bioetica di "frontiera " (che riguarda gli sviluppi più avanzati della biomedicina) e una bioetica "au quotidien" , cioè di tutti i giorni (relativa alle scelte che si compiono nella vita ordinaria, quando le questioni di frontiera si "normalizzano" e divengono questioni di vita quotidiana, come è ad es. accaduto con la pillola contraccettiva che, dopo le incredibili difficoltà per la sua "legalizzazione", oggi vede il suo impiego come scelta personale e privata).
Quanto ai temi di cui si occupa la bioetica, come risulta anche da quanto è stato sopra detto, possiamo ricordare i problemi dell'inizio (contraccezione, procreazione assistita, clonazione, interventi sull'embrione…) e della fine della vita (eutanasia, rianimazione, accanimento terapeutico, disposizioni in previsione di incapacità o testamento biologico e direttive anticipate…);
della salute e della malattia, e del rapporto tra beneficialità e autonomia; dell'uso del corpo (donazione e trapianto di organi, interruzione della gravidanza, chirurgia plastica ed estetica, ingegneria genetica e applicazioni della genetica, mutilazioni e sterilizzazioni…); del rapporto colla natura vivente e le altre specie, relativamente alla sovrapopolazione e all'equilibrio tra le specie viventi, nonché dell'etica ambientale, per il rapporto con la natura non-vivente; di ambiti particolari (ad es., psichiatria e salute mentale); della libertà della ricerca scientifica (modalità e soggetti della sperimentazione, destinazione delle risorse…) s'intende un'etica che, fondandosi sull'analisi della condizione umana, indica a tutti gli uomini le norme di condotta necessarie per la crescita e il dispiegamento delle potenzialità, ossia il raggiungimento del ben-essere o felicità. Tali etiche, nelle loro espressioni più mature, sono universali anche dal punto di vista della destinazione dell'azione, essendo essa rappresentata non solo dall'uomo, ma da tutti gli esseri senzienti se non dalla totalità della natura. Non può non rilevarsi come questa etica umanistica si ponga in grande consonanza con l'etica buddhista che, pur essendo un'etica religiosa, ha sempre sottolineato gli aspetti di universalità, solidarietà autorealizzativa, autonomia. La promozione dell'autosviluppo, l'affermazione dell'interdipendenza, la sostituzione di un atteggiamento
4 . Parlando di etica, dobbiamo osservare che nelle culture complesse, come quella in cui viviamo, non è più possibile adoperare il termine al singolare perché ci troviamo di fronte a una pluralità di orientamenti di cui dobbiamo essere consapevoli e che ci pongono ulteriori problemi. È ben noto come la storia della cultura abbia visto tradizionalmente contrapposte le etiche religiose e l'etica o, meglio, le etiche laiche; le prime, limitate dalla loro eteronomia, essendo fondate su una rivelazione e sostenute da una qualche autorità; le seconde, caratterizzate da una forte esigenza di autonomia, ma incapaci di raggiungere una fondazione che vada al di là del relativismo di un puro "gusto del bene" o di uno scientismo di tipo positivistico-evoluzionistico ormai impresentabile. Oggi siamo poi di fronte al fatto nuovo rappresentato dal contributo che le scienze umane (dalla psicologia al diritto, all'antropologia culturale, etc.), non potendosi non interessare anche ai principî e ai valori a cui la condotta si ispira, sembrano in grado di offrire una possibilità di superamento della contrapposizione tra etica laica ed etica religiosa, proponendo quella che è stata chiamata etica umanistica . Hanno contribuito alla sua espressione la cosiddetta sinistra freudiana, la Scuola di Francoforte, Fromm, Jung, gli studi di psicologia dello sviluppo morale di Kohlberg e altri, la psicologia umanistica, i fondatori della psicologia transpersonale, etc. Le più recenti analisi dei bisogni, operate dalla psicologia umanistica e transpersonale, hanno portato al pieno riconoscimento dell'autenticità dei bisogni, detti da Fromm "specificamente umani", di senso, orientamento, dedizione, comunicazione, amore, che in precedenza soltanto le religioni mostravano di considerare. In questa nuova prospettiva, per etica universale ego-centrico con uno eco-centrico al fine di realizzare una sempre più larga unità con la Vita, pensando e agendo in modo uni-verso, potrebbero essere condizioni e via per realizzare un'etica della tolleranza, alla costruzione della quale il buddhismo sembra essere particolarmente predisposto.
Il passaggio dal piano del confronto sui principî a quello delle applicazioni, evidenzia molto spesso, nel campo della bioetica, un livello di conflittualità che richiede qualche ulteriore riflessione. Come osserva Engelhardt, «la nostra è una cultura della controversia e della disputa» e «abbiamo divergenze troppo profonde sulle modalità della nascita e della morte, su come curarsi o sulla genetica, e non potremo mai liberarci da queste dispute perché dovremmo partire da premesse comuni che non esistono. Non sto con questo affermando un relativismo etico, piuttosto uno scetticismo di fondo che mi porta ad accettare il fatto che saremo sempre in disaccordo sui grandi temi come l'aborto, la procreazione assistita, la clonazione, l'eutanasia». In che modo potrebbe allora configurarsi una bioetica adeguata a una società che si riconosca pluralista, multietnica e multiculturale?
Una bioetica "liberale" o tollerante, che non pretenda cioè di imporre una determinata visione a chi non la condivida, dovrebbe articolarsi nella definizione di due ordini di "regole", che potremmo chiamare regole di confine e regole di convivenza o di compartecipazione . Attraverso le regole di confine dovrebbe venire sancita la libertà di esprimere condotte coerenti con una determinata visione del mondo, riconoscendo a ciascun gruppo culturale o religioso il diritto di osservare principî che si sa non condivisi da altri, i quali saranno invece altrettanto garantiti nel seguire i criteri da loro scelti. L'esigenza del secondo gruppo di regole, proprio perché partiamo dal presupposto di un'articolazione pluralista della società, nasce invece dal fatto che può far parte della propria etica il sentirsi chiamati in causa quando ci si venga a trovare di fronte a forme di violenza o di costrizione esercitate su chi è in condizione di minor potere nel gruppo a cui appartiene e di cui è pur stata sancita, con le regole di confine, la libertà di azione. In tal caso, sembra auspicabile l'individuazione di possibili principî, anche minimi, sui quali raggiungere un livello unanime di condivisione da parte dei componenti l'insieme sociale plurale. Il principio della manifestazione del libero consenso e quello della delimitazione del potere dei "tutori" potrebbero essere esempi di tali principî di tolleranza condivisa .
5. Come ha detto Giovanni Paolo II, «mai come oggi, soprattutto sul piano della bioetica, […] l'umanità è interpellata da problemi formidabili, che mettono in questione il suo stesso destino» (Concistoro maggio 2001). Dunque, antichi insegnamenti che vengono da culture che mai avrebbero potuto immaginare gli attuali scenari vengono confrontati con nuove incommensurabili sfide. Il buddhsimo ha mostrato, nel corso dei secoli, una eccezionale capacità di assimilazione e inculturazione, per cui non dovrebbe avere difficoltà a rispondere a interrogativi, resi più concreti ed urgenti proprio ora che sono state avanzate (in Italia con l'intesa in corso di definizione con lo Stato) quelle richieste di riconoscimento che potranno portarlo a una presenza sempre più visibile e operante nella nostra società (dai comitati di bioetica all'assistenza religiosa agli ammalati, all'educazione religiosa nelle scuole…). La Via di mezzo (non come punto di mezzo, ma come superamento della medietà o mediocrità ordinarie), la consapevoleza e il discernimento ci saranno di guida, mentre le sollecitazioni del tempo saranno un utile stimolo ad approfondire e incorporare la rivelazione di Buddha Shakyamuni, consentendo così a Maitreya, il Buddha del tempo futuro, di dimorare ancora per un pezzo nel cielo Tushita dei "tranquillamente contenti" prima di scendere sulla Terra e portare agli uomini la sua nuova versione del Dharma eterno.
Dalla vasta letteratura sulla bioetica citiamo qui soltanto alcuni volumi di carattere generale, utili per un primo approfondimento e perché dotati di ulteriori indicazioni bibliografiche:
Sandro Spinsanti, Etica bio-medica, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1987
Hugo Tristram Hengelhardt Jr., Manuale di bioetica , tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1991