Giampiero Comolli, I pellegrini dell'Assoluto, Milano, Baldini & Castoldi, 2002
Mentre fino a pochi anni fa ci si era dichiarati convinti di essere di fronte al declino della fede, alla "eclissi del sacro" e a una "religione invisibile" o implicita, come tipici aspetti della nostra moderna cultura secolarizzata, è divenuta ormai convinzione diffusa, perché suffragata da indagini sociologiche, documenti ecclesiali, esperienze di dialogo, che nella attuale post- o postpost-modernità, stiamo assistendo al fenomeno - accelerato dalla crisi delle ideologie dominanti nel XX sec. - del riemergere del sacro o addirittura di una "rivincita di Dio".
Carattere peculiare della nuova (o riemersa) esigenza spirituale è quella di presentarsi sotto forma di una sempre più diffusa multireligiosità o di "religions sans frontières". E questo "non solo nel senso che religioni diverse tendono oggi a convivere fianco a fianco, all'interno di un medesimo spazio sociale; ma soprattutto nel senso che si vanno facendo progressivamente più labili e incerti i confini teologici, culturali e sociali che tradizionalmente separavano le une dalle altre le diverse religioni e i loro rispettivi membri. Il risultato è che nessuno può più dare per scontata l'appartenenza alla propria religione di nascita. Ciascuno, volente o nolente, si trova chiamato a scegliere la propria posizione rispetto al fatto religioso. Impegnativa sul piano personale, tale scelta è resa però più facile dalla crescente offerta religiosa che ciascuno si trova di fronte". Così si esprime Giampietro Comolli (già noto, almeno, per il suo Buddhisti d'Italia) che, col suo I pellegrini dell'Assoluto, offre un ulteriore contributo alla constatazione da cui siamo partiti, attraverso una raccolta di varie decine di colloqui e interviste con uomini e donne fra i trenta e i cinquan'anni che, nel corso della loro vita adulta, si sono "convertiti" a una qualche fede o hanno intrapreso un qualche percorso spirituale. Volutamente esclusi teologi, maestri o personalità ufficiali delle varie comunità, i resoconti hanno la freschezza dei dialoghi diretti, espressi in parole adeguate ma non pretenziose e che si sforzano di comunicare con sincerità esperienze fortemente coinvolgenti.
Come sanno tutti coloro che svolgono ricerche di tipo qualitativo, raccogliendo storie di vita o interviste semistrutturate, al fascino della "presa diretta" segue poi la difficoltà di riordinare il materiale, farne uscire una qualche sintesi o almeno il suggerimento di una prospettiva o linea di tensione sulla base dei casi ritenuti più indicativi. L'A. non si avventura su questa via, rimanendo in un atteggiamento di ascolto umile e partecipato, né saremo noi a sostituirlo in questo compito. Tuttavia, alcune considerazioni emergono evidenti dalla lettura del libro e qua e là compaiono anche attraverso le riflessioni di Comolli stesso.
Innanzitutto, il tema della scelta e della sua motivazione. O perché provenienti da atteggiamenti di generico laicismo o da deluse militanze politiche o da appartenenze formali ed esteriori a qualche tradizione, gli intervistati manifestano l'esigenza di vivere o rivivere esperienze forti di spiritualità, capaci di restituire senso alla propria esistenza e di riprogrammare le modalità di relazione col prossimo, la società e la natura attraverso un rapporto nuovo con l'Assoluto. Di qui, da un lato, la ricerca, anche attraverso il viaggio, per incontrare altre culture, altre dottrine, altri riti, altri maestri. Oppure, dall'altro, rivivificando l'appartenenza alla propria religione, "quella della nonna", che cessa di essere solo una religione sociologica se, come nella storia di Emanuela, al suo interno è possibile vivere forti esperienze spirituali. Dopo un evento vissuto come colpa, Emanuela esprime in modo molto significativo il limite anche delle esperienze psicoterapeutiche, che pur rappresentano, per molti, una via di approfondimento interiore e di apertura verso l'autorealizzazione. "Lo psicologo mi aveva fornito tutte le spiegazioni sul perché potevo giustificarmi riguardo a quel che avevo fatto. Ma io non volevo essere giustificata. Fino a quando ho capito che avevo bisogno di chiedere perdono: volevo vedere se c'era un perdono. 'Io non mi perdono', ho detto al confessore. E allora lui mi ha risposto: 'Tu devi perdonarti, perché sei perdonata da Dio'. [...] Mi sono detta: sono accettata, perdonata, non sono una persona da buttare via, faccio parte anch'io di questa comunità di credenti".
L'accento posto sulla corporeità (ri)scoprendo che "il corpo, invece di essere fonte di peccato, è in realtà il tempio dell'amore" (parole di Elisabetta) e il tema dell'espansione della coscienza o dell'esperienza estatica attraversano un po' tutte le testimonianze raccolte. La modificazione della coscienza diviene, nella nuova religiosità, il veicolo fondamentale per sintonizzarsi con la forza della grande Vita cosmica. Perché questa è la forma sotto cui il divino è più frequentemente ricercato e "raggiunto", conservi o meno i nomi tradizionali. Si tratta di un Assoluto che viene depurato dei vecchi caratteri maschilisti, patriarcali, giudicanti per apparire, invece, compassionevole, vicino, rassicurante, con qualità femminili o androgine.
La spiritualizzazione e la politicizzazione delle questioni ecologiche influenza esplicitamente alcune posizioni come quella di uno degli intervistati il quale dice che "lui e il suo gruppo veneravano, al di sopra di ogni altro dio, la Terra intesa come una Grande Dea Madre, vale a dire come un'entità sacra, dotata di un'anima e consapevole di sé, vivente e dispensatrice di ogni vita. Uno dei loro rituali [...] consisteva nel rimanere a lungo con l'orecchio poggiato al suolo per cogliere the sacred whispers, i sacri sospiri della Terra".
Ma il tema dell'unità e della mente estatica ritorna anche nella testimonianza di chi ha seguito altri percorsi, come ad es. Markus, che riferisce della sua esperienza buddhista di fusione con un Assoluto impersonale e una Compassione senza volto che pervade il mondo e in cui tutti gli esseri visibili e invisibili "vengono sorretti, sostenuti, protetti e come carezzati dal Vuoto che li pervade quietamente e compassionevolmente, per ogni dove. [...] E proprio tale coincidenza finale di ogni essere con la Compassione che lo sorregge, fa sì che alla fine tutto si dissolva in Serenità, cioè in quel sorriso vuoto e senza forma che permane, quando ogni differenza si è dissolta".
Viene anche fatto cenno a un problema che meriterebbe particolare attenzione: quello del rapporto con i Maestri, di cui è riconosciuta l'insopprimibile funzione di guida e di sostegno ("ci comunicava un senso di fiducia assoluta in quello che faceva, diceva e insegnava. Una fiducia tanto più assoluta in quanto non pretendeva in cambio assolutamente nulla da noi"), ma che spesso ha dato luogo a fenomeni di autoritarismo se non addirittura di dominio da vecchi e nuovi venditori di illusioni. Abbiamo altrove rilevato come tra i compiti della psicologia transpersonale, proprio per il suo porsi all'interno della dimensione spirituale, si collochi quello di una visione comparativa e critica, per operare una verifica di congruenza, legittimità, efficacia: non ci torneremo qui, pur se il problema necessiterebbe ricerche, a tutt'oggi inesistenti o solo embrionali.
I temi che compaiono nel libro e gli interrogativi che vengono suscitati sono quelli che attraversano il movimento New Age (sul quale merita di essere esaminato l'interessante documento recentemente prodotto dal Pontificio consiglio della cultura e dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, dal titolo Gesù Cristo portatore dell'acqua viva - una riflessione cristiana sul "New Age"): rapporto tra le organizzazioni religiose tradizionali e le "religions à la carte", e tra cura, guarigione e salvezza; perché l'Oriente? la reincarnazione è liberazione dal ciclo delle rinascite o una nuova modalità di nutrire aspirazioni di sopravvivenza? siamo confrontati con "pellegrini" (come dal titolo del libro) o piuttosto con vagabondi dell'Assoluto, in cerca di rassicurazioni psicologiche, bisognosi di identità sociale, animati da narcisismo spirituale? Non potendo qui esaminare tutti questi temi, vogliamo almeno soffermarci sul fenomeno (per molti timore) del "sincretismo". È vero, spesso si ha l'impressione di trovarsi in un equivoco supermercato delle religioni, portato della globalizzazione che ha investito il pianeta. Tuttavia, dall'offerta spesso confusa e rumorosa di merce spirituale emerge, a ben guardare, anche una visione di "democratica" possibilità di convivenza delle diverse vie di salvezza, una volta abbandonata l'arrogante pretesa di possedere una verità unica, esclusiva, unilaterale. E dalla convergenza verso una comune (almeno in questo) meta trasformativa dell'esperienza forse sembra possibile intravvedere l'esistenza sottaciuta di una "Religione perenne" unificante tutte le religioni. Chi teme più il sincretismo che le guerre di religione (e a cui consiglieremmo la lettura di un piccolo, prezioso saggio di E. Zolla sull'argomento) avrà qualche ragione per essere preoccupato, anche se la strada è lunga e molti gli interrogativi.
L'A., concludendo il suo lavoro, dopo aver pensato che le testimonianze raccolte potessero essere viste nella luce unificante data dalla comune esperienza finale di essersi posti in rapporto con l'Assoluto, confessa con candore di aver dovuto constatare la presenza di irriducibili divergenze che gli hanno procurato un senso "di smarrimento e di oppressione". La parità non è uniformità e le divergenze tra le religioni chiamano certamente in causa i complessi rapporti tra esse e le culture che le esprimono. Sono interrogativi già oggetto di riflessioni di molti, da James a Goleman, da Bergson a Durkheim, da Luhmann alla stessa Unesco, per cui non possiamo cadere nell'ingenua aspettativa che la "religione del futuro" possa essere costruita come un velleitario esperanto, componendo più o meno abilmente pezzi provenienti dalle diverse tradizioni esistenti o estinte. Ci piace ricordare a questo proposito, per conforto e avvertimento, quel che anni fa scriveva E. Fromm:
"In effetti per coloro che vedono nelle religioni monoteistiche soltanto uno degli stadi dell'evoluzione del genere umano, non è troppo difficile convincersi che una nuova religione si svilupperà entro pochi secoli, una religione che corrisponda allo sviluppo del genere umano; il più importante carattere di questa religione sarebbe quello universalistico che corrisponderebbe all'unificazione dell'umanità che sta oggi verificandosi; esso racchiuderebbe gli insegnamenti umanistici comuni a tutte le grandi religioni dell'Oriente e dell'Occidente; le sue dottrine non contraddirebbero le conoscenze razionali dell'umanità odierna e l'accento sarebbe posto sulla pratica di vita piuttosto che su credenze dottrinarie. Una simile religione creerebbe nuovi rituali e nuove forme artistiche di espressione tali da produrre uno spirito di riverenza per la vita e la solidarietà dell'uomo. Naturalmente la religione non può essere inventata, essa si affermerà con la comparsa di un nuovo grande maestro proprio come ne sono apparsi nei secoli precedenti quando i tempi erano maturi. Nel frattempo quelli che credono in Dio dovrebbero esprimere la loro fede vivendola; quelli che non credono vivendo i precetti di amore e di giustizia, e rimanendo in attesa".
Riccardo Venturini
(pubbl. in Dharma, 2003, n. 13, pp. 122-26)
Mentre fino a pochi anni fa ci si era dichiarati convinti di essere di fronte al declino della fede, alla "eclissi del sacro" e a una "religione invisibile" o implicita, come tipici aspetti della nostra moderna cultura secolarizzata, è divenuta ormai convinzione diffusa, perché suffragata da indagini sociologiche, documenti ecclesiali, esperienze di dialogo, che nella attuale post- o postpost-modernità, stiamo assistendo al fenomeno - accelerato dalla crisi delle ideologie dominanti nel XX sec. - del riemergere del sacro o addirittura di una "rivincita di Dio".
Carattere peculiare della nuova (o riemersa) esigenza spirituale è quella di presentarsi sotto forma di una sempre più diffusa multireligiosità o di "religions sans frontières". E questo "non solo nel senso che religioni diverse tendono oggi a convivere fianco a fianco, all'interno di un medesimo spazio sociale; ma soprattutto nel senso che si vanno facendo progressivamente più labili e incerti i confini teologici, culturali e sociali che tradizionalmente separavano le une dalle altre le diverse religioni e i loro rispettivi membri. Il risultato è che nessuno può più dare per scontata l'appartenenza alla propria religione di nascita. Ciascuno, volente o nolente, si trova chiamato a scegliere la propria posizione rispetto al fatto religioso. Impegnativa sul piano personale, tale scelta è resa però più facile dalla crescente offerta religiosa che ciascuno si trova di fronte". Così si esprime Giampietro Comolli (già noto, almeno, per il suo Buddhisti d'Italia) che, col suo I pellegrini dell'Assoluto, offre un ulteriore contributo alla constatazione da cui siamo partiti, attraverso una raccolta di varie decine di colloqui e interviste con uomini e donne fra i trenta e i cinquan'anni che, nel corso della loro vita adulta, si sono "convertiti" a una qualche fede o hanno intrapreso un qualche percorso spirituale. Volutamente esclusi teologi, maestri o personalità ufficiali delle varie comunità, i resoconti hanno la freschezza dei dialoghi diretti, espressi in parole adeguate ma non pretenziose e che si sforzano di comunicare con sincerità esperienze fortemente coinvolgenti.
Come sanno tutti coloro che svolgono ricerche di tipo qualitativo, raccogliendo storie di vita o interviste semistrutturate, al fascino della "presa diretta" segue poi la difficoltà di riordinare il materiale, farne uscire una qualche sintesi o almeno il suggerimento di una prospettiva o linea di tensione sulla base dei casi ritenuti più indicativi. L'A. non si avventura su questa via, rimanendo in un atteggiamento di ascolto umile e partecipato, né saremo noi a sostituirlo in questo compito. Tuttavia, alcune considerazioni emergono evidenti dalla lettura del libro e qua e là compaiono anche attraverso le riflessioni di Comolli stesso.
Innanzitutto, il tema della scelta e della sua motivazione. O perché provenienti da atteggiamenti di generico laicismo o da deluse militanze politiche o da appartenenze formali ed esteriori a qualche tradizione, gli intervistati manifestano l'esigenza di vivere o rivivere esperienze forti di spiritualità, capaci di restituire senso alla propria esistenza e di riprogrammare le modalità di relazione col prossimo, la società e la natura attraverso un rapporto nuovo con l'Assoluto. Di qui, da un lato, la ricerca, anche attraverso il viaggio, per incontrare altre culture, altre dottrine, altri riti, altri maestri. Oppure, dall'altro, rivivificando l'appartenenza alla propria religione, "quella della nonna", che cessa di essere solo una religione sociologica se, come nella storia di Emanuela, al suo interno è possibile vivere forti esperienze spirituali. Dopo un evento vissuto come colpa, Emanuela esprime in modo molto significativo il limite anche delle esperienze psicoterapeutiche, che pur rappresentano, per molti, una via di approfondimento interiore e di apertura verso l'autorealizzazione. "Lo psicologo mi aveva fornito tutte le spiegazioni sul perché potevo giustificarmi riguardo a quel che avevo fatto. Ma io non volevo essere giustificata. Fino a quando ho capito che avevo bisogno di chiedere perdono: volevo vedere se c'era un perdono. 'Io non mi perdono', ho detto al confessore. E allora lui mi ha risposto: 'Tu devi perdonarti, perché sei perdonata da Dio'. [...] Mi sono detta: sono accettata, perdonata, non sono una persona da buttare via, faccio parte anch'io di questa comunità di credenti".
L'accento posto sulla corporeità (ri)scoprendo che "il corpo, invece di essere fonte di peccato, è in realtà il tempio dell'amore" (parole di Elisabetta) e il tema dell'espansione della coscienza o dell'esperienza estatica attraversano un po' tutte le testimonianze raccolte. La modificazione della coscienza diviene, nella nuova religiosità, il veicolo fondamentale per sintonizzarsi con la forza della grande Vita cosmica. Perché questa è la forma sotto cui il divino è più frequentemente ricercato e "raggiunto", conservi o meno i nomi tradizionali. Si tratta di un Assoluto che viene depurato dei vecchi caratteri maschilisti, patriarcali, giudicanti per apparire, invece, compassionevole, vicino, rassicurante, con qualità femminili o androgine.
La spiritualizzazione e la politicizzazione delle questioni ecologiche influenza esplicitamente alcune posizioni come quella di uno degli intervistati il quale dice che "lui e il suo gruppo veneravano, al di sopra di ogni altro dio, la Terra intesa come una Grande Dea Madre, vale a dire come un'entità sacra, dotata di un'anima e consapevole di sé, vivente e dispensatrice di ogni vita. Uno dei loro rituali [...] consisteva nel rimanere a lungo con l'orecchio poggiato al suolo per cogliere the sacred whispers, i sacri sospiri della Terra".
Ma il tema dell'unità e della mente estatica ritorna anche nella testimonianza di chi ha seguito altri percorsi, come ad es. Markus, che riferisce della sua esperienza buddhista di fusione con un Assoluto impersonale e una Compassione senza volto che pervade il mondo e in cui tutti gli esseri visibili e invisibili "vengono sorretti, sostenuti, protetti e come carezzati dal Vuoto che li pervade quietamente e compassionevolmente, per ogni dove. [...] E proprio tale coincidenza finale di ogni essere con la Compassione che lo sorregge, fa sì che alla fine tutto si dissolva in Serenità, cioè in quel sorriso vuoto e senza forma che permane, quando ogni differenza si è dissolta".
Viene anche fatto cenno a un problema che meriterebbe particolare attenzione: quello del rapporto con i Maestri, di cui è riconosciuta l'insopprimibile funzione di guida e di sostegno ("ci comunicava un senso di fiducia assoluta in quello che faceva, diceva e insegnava. Una fiducia tanto più assoluta in quanto non pretendeva in cambio assolutamente nulla da noi"), ma che spesso ha dato luogo a fenomeni di autoritarismo se non addirittura di dominio da vecchi e nuovi venditori di illusioni. Abbiamo altrove rilevato come tra i compiti della psicologia transpersonale, proprio per il suo porsi all'interno della dimensione spirituale, si collochi quello di una visione comparativa e critica, per operare una verifica di congruenza, legittimità, efficacia: non ci torneremo qui, pur se il problema necessiterebbe ricerche, a tutt'oggi inesistenti o solo embrionali.
I temi che compaiono nel libro e gli interrogativi che vengono suscitati sono quelli che attraversano il movimento New Age (sul quale merita di essere esaminato l'interessante documento recentemente prodotto dal Pontificio consiglio della cultura e dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, dal titolo Gesù Cristo portatore dell'acqua viva - una riflessione cristiana sul "New Age"): rapporto tra le organizzazioni religiose tradizionali e le "religions à la carte", e tra cura, guarigione e salvezza; perché l'Oriente? la reincarnazione è liberazione dal ciclo delle rinascite o una nuova modalità di nutrire aspirazioni di sopravvivenza? siamo confrontati con "pellegrini" (come dal titolo del libro) o piuttosto con vagabondi dell'Assoluto, in cerca di rassicurazioni psicologiche, bisognosi di identità sociale, animati da narcisismo spirituale? Non potendo qui esaminare tutti questi temi, vogliamo almeno soffermarci sul fenomeno (per molti timore) del "sincretismo". È vero, spesso si ha l'impressione di trovarsi in un equivoco supermercato delle religioni, portato della globalizzazione che ha investito il pianeta. Tuttavia, dall'offerta spesso confusa e rumorosa di merce spirituale emerge, a ben guardare, anche una visione di "democratica" possibilità di convivenza delle diverse vie di salvezza, una volta abbandonata l'arrogante pretesa di possedere una verità unica, esclusiva, unilaterale. E dalla convergenza verso una comune (almeno in questo) meta trasformativa dell'esperienza forse sembra possibile intravvedere l'esistenza sottaciuta di una "Religione perenne" unificante tutte le religioni. Chi teme più il sincretismo che le guerre di religione (e a cui consiglieremmo la lettura di un piccolo, prezioso saggio di E. Zolla sull'argomento) avrà qualche ragione per essere preoccupato, anche se la strada è lunga e molti gli interrogativi.
L'A., concludendo il suo lavoro, dopo aver pensato che le testimonianze raccolte potessero essere viste nella luce unificante data dalla comune esperienza finale di essersi posti in rapporto con l'Assoluto, confessa con candore di aver dovuto constatare la presenza di irriducibili divergenze che gli hanno procurato un senso "di smarrimento e di oppressione". La parità non è uniformità e le divergenze tra le religioni chiamano certamente in causa i complessi rapporti tra esse e le culture che le esprimono. Sono interrogativi già oggetto di riflessioni di molti, da James a Goleman, da Bergson a Durkheim, da Luhmann alla stessa Unesco, per cui non possiamo cadere nell'ingenua aspettativa che la "religione del futuro" possa essere costruita come un velleitario esperanto, componendo più o meno abilmente pezzi provenienti dalle diverse tradizioni esistenti o estinte. Ci piace ricordare a questo proposito, per conforto e avvertimento, quel che anni fa scriveva E. Fromm:
"In effetti per coloro che vedono nelle religioni monoteistiche soltanto uno degli stadi dell'evoluzione del genere umano, non è troppo difficile convincersi che una nuova religione si svilupperà entro pochi secoli, una religione che corrisponda allo sviluppo del genere umano; il più importante carattere di questa religione sarebbe quello universalistico che corrisponderebbe all'unificazione dell'umanità che sta oggi verificandosi; esso racchiuderebbe gli insegnamenti umanistici comuni a tutte le grandi religioni dell'Oriente e dell'Occidente; le sue dottrine non contraddirebbero le conoscenze razionali dell'umanità odierna e l'accento sarebbe posto sulla pratica di vita piuttosto che su credenze dottrinarie. Una simile religione creerebbe nuovi rituali e nuove forme artistiche di espressione tali da produrre uno spirito di riverenza per la vita e la solidarietà dell'uomo. Naturalmente la religione non può essere inventata, essa si affermerà con la comparsa di un nuovo grande maestro proprio come ne sono apparsi nei secoli precedenti quando i tempi erano maturi. Nel frattempo quelli che credono in Dio dovrebbero esprimere la loro fede vivendola; quelli che non credono vivendo i precetti di amore e di giustizia, e rimanendo in attesa".
Riccardo Venturini
(pubbl. in Dharma, 2003, n. 13, pp. 122-26)